Studio fuse*, Trust, 2022

Arte, scienza e tecnologia: una collaborazione tesa al futuro.

Cosa possiamo definire arte oggi e qual è il suo scopo? In quale modo tecnologia e scienza si inseriscono all’interno dello scenario artistico contemporaneo? 
L’arte nel tempo ha sempre assunto un ruolo fondamentale all’interno della società, quale espressione della contemporaneità, dove significati e funzioni attribuite ad essa nel corso della storia, da quelle celebrative a quelle innovative, sono sempre state espressione dei valori di una determinata comunità che viveva nel suo tempo. Punto di partenza dell’incontro è stato il concetto di “arte” che Marco Trevisan, infatti, ha voluto definire  quale «mediatore culturale da sempre in grado di semplificare concetti che risulterebbero talvolta complessi alla comprensione delle masse». 

Studio fuse* rappresenta un esempio tangibile di questa relazione tra arte, scienza e tecnologia e attraverso la realizzazione dei loro progetti cercano di «semplificare la complessità e concretizzare ciò che non ha ancora una forma». Alcuni progetti significativi, sintesi di questa relazione, realizzati da fuse* sono: Artificial Botany che nel prossimo futuro coinvolgerà anche l’Orto Botanico di Padova ed esplora la capacità espressiva latente delle illustrazioni botaniche attraverso l’uso di algoritmi di machine learning; un altro progetto è Trust il cui scopo è analizzare l’impatto degli eventi storici sul livello di fiducia della società fino al momento presente e considera come questa relazione potrebbe evolversi nel futuro.

Altri artisti come Daan Roosegaarde, che della creatività ha fatto il proprio capitale,  vede la possibilità di creare un futuro migliore attraverso l’impiego della tecnologia; ne sono la dimostrazione progetti come Waterlicht e Smog Free Tower. Un altro esempio è quello dell’artista Tomàs Saraceno che nel 2020 ha presentato una scultura volante dal titolo Fly with Aerocene Pacha; una mongolfiera che è riuscita a volare sopra le saline argentine attraverso il solo impiego di aria e luce del sole. Un progetto complesso che guarda al futuro, quasi un maniera utopistica, ad un mondo che esclude totalmente l’utilizzo dei combustibili fossili, batterie o pannelli solari. 

Una figura dell’artista che Vincenzo Trione definisce come “Neoscientista”, che si inserisce nel mondo e si relaziona con esso in maniera differente rispetto al passato perché la funzione stessa dell’arte è cambiata. Infatti, Marco Trevisan nel suo libro Ars Factiva. La bellezza utile all’arte in maniera quasi provocatoria pone l’accento sul significato che assumono le parole “bellezza e utilità” legate a quella di arte; non si parla più di un’arte fine a sé stessa quindi della sua «necessaria non autonomia oggi»; è così che l’arte entra in contatto con questi nuovi mezzi espressivi e diventano uno strumento di sensibilizzazione attraverso la quale ci parlano di tematiche legate ad esempio all’ambiente, al futuro e in generale della società nella sua complessità. Un’arte che Bruno Latour ha definito «estetizzazione della scienza e progetti di sensibilizzazioni necessari per il periodo storico in cui viviamo».

La rivoluzione digitale ha trasformato i comportamenti e le relazioni sociali e di conseguenza anche il ruolo dell’artista; oggi l’opera spesso è frutto di diverse professionalità e competenze che operano per raggiungere un obiettivo comune. Studio fuse* ne è un esempio, oggi il gruppo si compone di tredici personalità e professionalità diverse che provengono da studi ed esperienze diversificate. Diversi sono gli esempi che possiamo citare: Art al Cern di Ginevra, la residenza d’artista dove artisti e fisici lavorano in stretta collaborazione alla realizzazione di progetti e temi di pubblica utilità o la collaborazione tra Ouchhh Studio e Nasa per la realizzazione dell’installazione pubblica DATAGATE.

Altro esempio di intervento artistico a cavallo fra ricerca, dati e impegno sociale è stato il progetto Human Architecture (Biennale Architettura 2018) realizzato da Salvatore Iaconesi, Oriana Persico e il centro di ricerca Human Ecosystems Relations con la partecipazione della Fondazione Alberto Peruzzo. Il progetto consisteva nella raccolta di conversazioni pubbliche trasformandole in architetture visive e sonore, dove i dati sono stati il centro di un’azione culturale che intendeva coinvolgere la collettività. Da questo si evince non solo come siano cambiati i mezzi espressivi e il ruolo dell’artista ma anche come si sia passati da una condizione di individualismo creativo a una creazione collettiva, un’arte partecipativa che si completa con lo spettatore e ogni volta ne determina un’esperienza e risultato diverso.

In conclusione,  la “rivoluzione digitale dell’arte” ha portato a due trasformazioni essenziali: il modo di fare l’arte e il ruolo dell’artista. Tutti i giorni siamo chiamati a confrontarci con l’impiego delle nuove tecnologie in campo artistico ed è così che il confine tra arte, scienza e tecnologia diventa sempre più labile.

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