Quayola, Seconda Natura. Testo critico di Lucia Longhi

“La pittura abbraccia in sé tutte le forme della natura.”
Leonardo da Vinci

Nella struttura di una foglia o nella sequenza evolutiva di un ramo sono rinchiuse funzioni matematiche che ne descrivono l’ordine e lo sviluppo. Questa affermazione non ha carattere di novità. Tuttavia, sono proprio esse l’origine della possibilità di osservare oggi la natura sotto una prospettiva nuova, che dischiude altrettante nuove riflessioni sul nostro rapporto con la realtà come esseri umani.
L’osservazione e rappresentazione della natura è alla base del legame primordiale dell’uomo con ciò che lo circonda; una pratica che procede di pari passo con gli sviluppi della tecnica. In questo contesto è utile evocare Leonardo da Vinci. Il suo approccio alla conoscenza era di tipo visivo: l’esercizio pittorico era infatti funzionale alla ricerca. Il virtuosismo non si esauriva nella celebrazione della pratica artistica, bensì serviva alla comprensione delle strutture del mondo naturale. Il disegno gli permetteva di leggere la natura e di scoprirne sia le forme che i processi evolutivi. Una visione dell’arte quindi come metodologia di ricerca scientifica. Il quindicesimo secolo ha visto un grande sviluppo degli studi botanici anche grazie alla diffusione degli erbari, in cui illustrazioni dettagliate affiancavano le descrizioni delle piante. Gli orti botanici ne sono stati la culla, illustri testimoni del progresso del metodo scientifico e della scienza botanica, che è passata quindi anche attraverso l’arte per definirsi come disciplina. La rappresentazione visiva dunque non ha mai smesso di accompagnare la scienza nei processi di comprensione del mondo.

La pratica artistica di Quayola ha origine da una fascinazione, ossia come i pattern che esistono in natura siano riproducibili con espressioni matematiche. Le simulazioni digitali oggi usate per raffigurare il fuoco, il vento, il mare o le foreste sono estrapolate dalle funzioni matematiche già presenti in questi elementi. Queste funzioni per l’artista non sono un mezzo, bensì il soggetto stesso dell’indagine artistica. Essa si inserisce poi nel contesto dell’eredità figurativa classica, in particolar modo della pittura en plein air, inserendosi così nella Storia dell’arte. Il lavoro di Quayola dunque contiene eredità storica e pratica contemporanea volta alla comprensione del futuro. Anche l’orto botanico racchiude in sé sia il passato, che la ricerca indirizzata al progresso.
La natura rappresentata da Quayola appare lievemente diversa da quella a cui siamo abituati: unisce forme naturali e pittoriche familiari con codici appartenenti al mondo digitale, che pure risuonano con la nostra sensibilità. Suscitano così un’empatia che invita a riflettere e ridefinire le categorie secondo cui leggiamo e classifichiamo la realtà: naturale/artificiale, antropico/tecnologico. Non da ultimo, stimolano a rinegoziare il nostro ruolo rispetto alla tecnologia nei processi di osservazione della realtà.

La ricerca morfogenetica botanica si serve sempre di più dei computer per analizzare la natura a partire dalle costanti matematiche in essa contenute. Fotografie ad alta risoluzione e scansioni 3D servono alla raccolta dati, software avanzati creano simulazioni accurate. Sono strumenti che presentano un potenziale non soltanto per gli utilizzi tecnici ma anche per i linguaggi visivi nuovi che dischiudono: quelli del mondo digitale.

Questo è il punto di partenza della riflessione di Quayola, per cui la natura dunque è non più solo soggetto di indagine, bensì, esattamente come per i pittori del passato – in particolar modo gli Impressionisti – un pretesto per sondare un nuovo metodo di lettura del mondo. È il processo che diventa così il vero soggetto, permettendo anche di esplorare l’orizzonte evolutivo che stiamo attraversando come esseri umani.
Ecco che si dischiude quindi, accanto alla prima natura, una seconda natura. Seconda natura è quella che emerge dall’osservazione fatta per mezzo della tecnologia. Una natura dal volto diverso e nuovo. La logica dei computer infatti non è più assoggettata alla nostra. Le intelligenze artificiali hanno sistemi di percezione e codifica autonomi – per alcuni aspetti simili, per altri molto distanti dalle facoltà umane. La tecnologia dunque è entrata a pieno titolo tra gli agenti atti a comprendere la natura e ha introdotto così anche nuove estetiche, con cui l’uomo ora è chiamato ad allinearsi. Contemplando le immagini di Quayola ci accorgiamo che non si tratta di una rappresentazione della realtà: ciò che vediamo sono rappresentazioni di simulazioni della natura da parte di un computer. Si impone allora un ulteriore livello di lettura: quello dei codici visivi della macchina da parte dell’uomo. Parlare di rappresentazione però non è esatto: si tratta di un esercizio di astrazione. È il modo della macchina di capire il mondo.

 

Il video Jardins d’Été (45 min loop) e le relative stampe (Jardins d’Été, ink-jet prints) sono simulazioni digitali che ci ricordano i dipinti impressionisti, in cui però le pennellate sono create da algoritmi processati da un software. La matrice di riferimento sono riprese video dei giardini del castello di Chaumont-sur-Loire in Francia, pertanto i movimenti delle sequenze nella simulazione finale sono estratti dai veri movimenti delle piante. La fonte però quasi perde importanza nel momento in cui la macchina procede autonomamente a creare pattern pittorici. Soltanto nella fase iniziale essa aƫnge ai movimenti e ai colori dell’immagine di riferimento, per poi realizzare simulazioni indipendenti.
L’osservazione della natura è quindi solo un punto di partenza, un pretesto per andare a indagare nuove logiche conoscitive.

Similmente, nel progetto Remains la foresta è rappresentata attraverso la raccolta di dati con scanner 3D, che funziona con un sistema di laser ad alta risoluzione che si muovono nello spazio. I dati sono poi restituiti in forma di milioni di puntini bianchi. Se, da un lato, il sistema di lettura della macchina delle foreste della Vallée de Joux (Svizzera) è estremamente accurata, dall’altro presenta anche imperfezioni e quindi abbassamenti di risoluzione. Anche qui possiamo così osservare il comportamento del computer nel momento in cui si trova a leggere delle situazioni particolari, ad esempio una rifrazione anomala della luce a causa dell’umidità. Il grande formato è allora necessario, per rendere visibili le caratteristiche intrinseche della ricognizione della foresta da parte del laser, restituendo così anche un’idea della scala su cui opera il computer.
Da un lato, il livello di dettaglio è altissimo. Dall’altro, sia in Remains che in Jardins d’Été la precisione dell’immagine appare ridotta.

Come nella tecnica impressionista, la riduzione dell’informazione visiva paradossalmente è capace di dischiudere una grande potenza espressiva. Anche qui, infatti, è proprio essa che rappresenta la complessità del processo.
Per entrambe le strumentazioni si tratta di un lavoro che richiede molto tempo: lunghissimi momenti di osservazione del comportamento della macchina e delle informazioni restituite, selezione dei dati e nuovo settaggio degli strumenti, per poi procedere nuovamente a far leggere alla macchina la scena di riferimento. Si ottengono così le immagini che vediamo oggi.
Tempi lunghi, proprio come quelli del pittore che dall’alba al tramonto si immergeva nella natura per dipingerla. Un processo, inoltre, di reciproca conoscenza tra l’uomo e la macchina. Alla luce di questo si presenta ora un ulteriore e decisivo livello di processo, e quindi di riflessione critica: l’intervento dell’artista sulle azioni della macchina, dopo aver capito e imparato il suo sistema visivo e la sua logica di interpretazione della realtà.
Siamo abituati a pensare al cosiddetto machine learning, come le macchine cioè imparino a capire e migliorare autonomamente le proprie funzioni. In questo senso allora il processo di Quayola è inverso, un reverse machine learning, in cui l’uomo conosce la macchina e collabora con essa nella codifica della realtà.

Ecco perché possiamo parlare di seconda natura: una seconda natura da osservare, diversa da quella a cui la nostra esperienza umana ci ha abituati. Ciò che ne risulta però è non soltanto una lettura nuova di paesaggi e pattern naturali, ma anche un’osservazione sull’evoluzione dell’uomo. Questi lavori invitano infatti a riflettere su una verità cogente: i computer erano stati programmati per somigliare agli esseri umani, ma oggi molti dei loro processi non sono più accessibili alla mente umana. Siamo noi, ora, che stiamo trasformando il nostro modo di pensare e di vedere, i nostri sistemi di rappresentazione e le nostre estetiche, per avvicinarci alle loro facoltà. Una domesticazione reciproca.

Si approda così al discorso più rilevante aƫtivato da Quayola, quello riguardante il nostro rapporto con la tecnologia. E torna utile allora evocare di nuovo il termine “seconda natura”. Esso fa riferimento, nella Storia del Pensiero, allo statuto dell’essere umano, che si distingue dalla “prima natura” proprio in virtù delle sue capacità intellettive e culturali. Nell’arte di Quayola vengono dunque esplorati i nuovi parametri da valutare quando si parla di uomo e natura, in quanto l’agente antropico non è più protagonista unico nell’esplorazione della realtà, e la tecnologia ha oggi dignità di identità autonoma.

Le immagini che osserviamo all’Orto Botanico sono di fatto uno studio sul posizionamento dell’essere umano nel suo mondo e nella sua epoca, e sulle gerarchie tra uomo, natura e tecnologia. La conoscenza del mondo oggi non è più solo su scala umana; le immagini di Quayola sono emblema di questa coesistenza della nostra visione con quella della macchina. Un’espressione contemporanea della collaborazione tra arte e scienza.
Anche qui, dunque, una visione dell’arte come metodologia di studio scientifico. L’artista utilizza l’esercizio pittorico digitale per comprendere una natura nuova, quella vista attraverso gli occhi della tecnologia, e per comprendere la tecnologia stessa, che è forse a tutti gli effetti una seconda natura.