Intervento di Marco Maria Zanin

«Ciò che mi riporta fortemente al periodo che stiamo vivendo non è un’opera sola ma un corpus, molto importante anche per la costruzione del mio linguaggio artistico: le fotografie di Brancusi.
Brancusi com’è noto era uno scultore, ma è stato anche un eccezionale fotografo. Costruisce lui stesso la propria camera oscura all’interno del suo atelier, chiede qualche consiglio tecnico a Man Ray e poi entra in un interessante processo in cui usa la fotografia sia per sé, per visualizzare l’opera scultorea nella sua trasformazione, sia per lo spettatore, facendo entrare uno sguardo esterno come voyeur, ad osservare l’atelier e lo stesso processo creativo.
Nelle fotografie, Brancusi fa esistere le sue sculture in un altro spazio, costringendoci a vedere le sue sculture come lui avrebbe voluto. Mi riportano a questo tempo sfidante che stiamo vivendo perché lo trovo un meraviglioso esercizio di presenza.

Osservare lo spazio in cui viviamo mettendoci in contatto con la pulsazione della luce che disegna e trasforma istante per istante ciò che appartiene al nostro spazio intimo e quotidiano. Osservare ciò che emerge dal nostro fare, o il paesaggio che si crea dal casuale spostamento degli oggetti che ci circondano. Accorgersi di come la luce che entra da una finestra può trasformare un oggetto qualsiasi in un oggetto sacro.
Questo, ma anche un rapporto con il tempo capace di non aggrapparsi a niente, di non forzare, non accelerare, semplicemente stare, osservare, con la pazienza e la fiducia che qualcosa di bello e potente accadrà, o anzi, sta già accadendo.».

Artista francese di origini rumene, Constantin Brancusi (1876–1957) è conosciuto soprattutto per le sue particolari sculture astratte in cui ricerca la semplificazione della forma al fine di sprigionare la tensione e l’energia della materia.
La maturazione delle sue idee e del suo stile così personale avviene in un momento cruciale della storia dell’arte. Brancusi vive a Parigi, crocevia di innumerevoli apporti culturali del tempo che gli permetteranno di entrare in contatto con personalità fondamentali per la sua ricerca artistica, come Amedeo Modigliani (1884-1920), Fernand Leger (1881-1955), Marcel Duchamp (1887-1968) e Man Ray (1890-1976).

Parallelamente alla scultura, Brancusi fu particolarmente attivo anche nel campo della fotografia, passione nata nel 1927, quando incontrò Man Ray a Parigi. Mentre l’artista americano stava creando il suo studio fotografico, aiutò Brancusi ad acquistare le attrezzature necessarie per approntare una camera oscura nel suo atelier, dove avrebbe perfezionato le sue tecniche fotografiche. E’ così grazie a Man Ray che Brancusi imparò a scattare, sviluppare e stampare autonomamente le proprie fotografie.
Il risultato di questa istruzione è evidente nella rivista “Little Review” dell’autunno 1921, che riproduce una serie di fotografie di Brancusi che rientrano tra gli scatti più importanti del periodo.

Le opere fotografiche Brancusiane rappresentano immagini del suo studio e delle sculture, non semplicemente come documentazione dell’opera stessa, ma piuttosto un modo alternativo per percepire le proprie sculture in relazione all’ambiente circostante al cambio di luce su di esse. Le sue fotografie sono una parte fondamentale della carriera artistica di Brancusi perché permettono di guidare e migliorare l’esperienza dello spettatore nella comprensione delle sue opere tridimensionali, ma anche di trasformarle completamente in nuove opere d’arte. Posizionando e riposizionando le sculture nel suo studio, Brancusi crea composizioni complesse, che esprimono una visione fotografica unica che va decisamente oltre la semplice documentazione, e stabilisce fermamente Brancusi come uno dei più straordinari creatori di immagini nella storia della fotografia.

Biografia

MARCO MARIA ZANIN | Marco Maria Zanin nasce a Padova nel 1983.

Si laurea prima in Lettere e Filosofia e poi in Relazioni Internazionali, ottenendo un master in Psicologia. Sviluppa contemporaneamente l’attività artistica, e compie numerosi soggiorni in diverse parti del mondo, mettendo in pratica quell’esercizio di “dislocamento” fondamentale per l’analisi critica dei contesti sociali, e per alimentare la sua ricerca tesa a individuare gli spazi comuni della comunità umana. Mito e archetipo come matrici sommerse dei comportamenti contemporanei sono il centro della sua indagine, che si snoda sull’osservazione della relazione tra l’uomo, il territorio e il tempo. Vive e lavora tra Padova e San Paolo del Brasile.