Un vecchio silo degli anni Trenta, a Pieve di Cento, piccola cittadina emiliana sulle rive del Reno, ospita da alcuni anni una delle collezioni private di arte più vaste d’Italia. Parliamo di più di 2000 opere, messe assieme in maniera curiosa, appassionata e trasversale da Giulio Bargellini in quasi cinquant’anni di attività.
Negli anni Settanta l’imprenditore porta la sua azienda Ova Bargellini ad una posizione di leadership in Europa nel settore delle luci di emergenza. Ma è proprio in quegli anni, racconta, che un amico gli propone l’acquisizione di due disegni di Tono Zancanaro, che esponeva in una personale a Cento: visitò la mostra, conobbe l’artista con il quale fece amicizia, e da lì cominciò la passione per il collezionismo.
Il museo MAGI ‘900 apre le porte nel 2000, ed è una sintesi del rapporto arte/imprenditoria fin dal primo sguardo. Si presenta come un edificio squadrato e severo, un riadattamento da un vecchio edificio industriale. Si tratta di un silo, scelto da Bargellini “per tutelare e valorizzare un edificio in grave stato di degrado, ma di grande valenza simbolica per la comunità locale e per la storia agraria della provincia bolognese”. Il progetto di conversione, seguito dall’architetto Giuseppe Davanzo, preservò il più possibile il volume del silo costruendo un secondo corpo di fabbrica composto da un ampio basamento e da una nuova torre vetrata con cui dare accesso alla reception, agli spazi per gli uffici, alla caffetteria e al bookshop e agli spazi espositivi. Le pareti esterne della ‘nuova scatola’ sono dipinte con una texture pittorica a forte dominante blu: da lontano appare compatta, avvicinandosi diventa materica e mutevole. Dopo il primo nucleo inaugurato nel 2000, il museo è stato ampliato una seconda volta tra il 2005 e il 2006, annettendo un nuovo volume al corpo scala esterno, e una terza volta nel 2015, costruendo un nuovo edificio di tre piani fuori terra e un’ampia terrazza panoramica.
Il focus delle collezioni è sull’arte del XX e XXI secolo, con nomi come Afro, Alviani, De Chirico, D’Orazio, Jenkins, Modigliani, Parmiggiani, Santomaso, Shimamoto, Wesselmann, solo per citarne alcuni. Negli anni, poi, Bargellini dà vita a progetti temporanei ambiziosi. Nel 2008 chiede a Shozo Shimamoto di dare vita ad una delle sue grandi performance, durante la quale, sotto gli occhi di un folto pubblico, l’artista a tempo di musica lanciò con forza e casualità diversi contenitori di colori su una lunga distesa di tele e sculture di teste, secondo la poetica Gutai. Nel 2018 ospitò la mostra Guernica Icona di Pace, con il cartone raffigurante l’opera capolavoro di Pablo Picasso da cui è nato l’arazzo esposto all’ingresso della sala del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (dopo esposto a Padova grazie alla Fondazione Alberto Peruzzo, per il 100mo anniversario dell’Armistizio della Prima Guerra Mondiale).
In riferimento al rapporto tra arte e imprenditoria, del quale è stato uno dei primi interpreti, Bargellini affermò a Collezione da Tiffany “Il collezionismo ha cambiato il rapporto con la mia clientela, la passione per l’arte mi ha portato ad avere maggior prestigio e a migliorare la mia immagine pubblica, e quindi anche quella dell’azienda. Lo dico senza falsi pudori, la passione per l’arte per un certo periodo mi è davvero servita nel mio lavoro. Sono stato un inventore, in diversi ambiti, compreso questo. Adesso che il museo è il mio impegno principale sono sempre più convinto di avere conciliato bene lavoro e passione”.