«Era il 1965. Non mi ero ancora interessato al collezionismo, ma ero un giovane curioso. Conobbi lo stampatore, editore e artista Renzo Sommaruga in una galleria, dove mi avvicinò e mi disse: “Non dovete guardare le croste, ma le vere opere!”.
Cominciammo a frequentarci. Renzo era una persona incredibile, cominciò a stampare poesie accompagnate da litografie e incisioni di artisti importanti. Un giorno mi mostrò la bozza di un progetto editoriale: poesie di Quasimodo accompagnate da 9 acqueforti di Gentilini, Saetti ed altri, e tra queste una di Capogrossi. Fu una rivelazione. Mi si aprì un mondo nuovo. Non avevo mai visto qualcuno cercare di usare un linguaggio nuovo, fatto di segni, che mi fece entrare in un mondo sconosciuto. Una vera scoperta. Capii che l’arte può darti nuovi strumenti per capire la realtà in un modo che non avevi immaginato prima».
Giuseppe Capogrossi nasce a Roma il 7 marzo 1900. Esordisce come pittore figurativo fino al secondo dopoguerra, quando rivoluzionò la sua arte dedicandosi all’informale segnico. La sua arte è caratterizzata da uno stile peculiare e inconfondibile, legato alla rappresentazione di segno grafico elementare e fortemente comunicativo, che viene ripetuto nelle più svariate combinazioni. Negli anni a questo elemento primario, definito spesso “pettine” o “rebbio”, l’artista ampliò il repertorio introducendo lettere, zig zag, ma anche tratteggi. Partendo da segni elementari, abbinati secondo schemi sempre mutevoli, Capogrossi diede vita a infinite variazioni sul tema finalizzate ad indagare il rapporto fra il segno e lo spazio e a sviluppare il senso ritmico dell’immagine.
«Un’altra esperienza illuminante avvenne nel 1969. Andai a Milano, ancora con Sommaruga, per uno dei suoi viaggi per un progetto editoriale, e qualcuno mi porse in mano un foglio A4 bucherellato. Fu “un altro colpo in testa”. Un artista che mi faceva entrare in una nuova dimensione, in maniera apparentemente semplice.
Fu solo più tardi che riuscii a comprare un’opera di Fontana, in una galleria privata. L’opera, piccola, costava 3 milioni di lire, pochi per un artista così ma non pochi per me che erano giovane e con pochi soldi. Presi coraggio e proposi al gallerista un acquisto “a rate”, ossia il primo milione subito e il resto quando ne avessi avuto disponibilità. Accettò…
Era una anilina grigia con buchi ed ovali bianchi, ed il tutto mi ricordava una di quelle foto dei nonni, dove le facce emergono dagli ovali. La memoria che emerge da un’altra dimensione».
E’ il 1950 quando Fontana dà inizio al movimento dello Spazialismo.
Le sue opere sono caratterizzate dalla monocromia su cui l’artista agisce, non attraverso il tradizionale pennello, ma con strumenti non convenzionali, come coltelli, rasoi ed oggetti simili. Trattandosi di un gesto facilmente replicabile, l’artista, per distinguere le proprie opere da quella di imitatori, poneva dietro ad ognuno dei suoi lavori, delle frasi senza senso, apparentemente attribuibili solo a lui.
Biografia
GIORGIO FASOL | Nato a Verona nel 1938, è uno dei più importanti collezionisti d’arte italiani. Dalla sua grande passione per l’arte contemporanea nasce una significativa raccolta privata: Agi Verona Collection. Nel 1988 concede il primo prestito: cinque opere, esposte in occasione di Arte Fiera Bologna per una mostra curata da Silvia Evangelista e dedicata alla ricerca sul collezionismo italiano. Da allora le opere appartenenti alla sua collezione non hanno più smesso di viaggiare, richieste e prestate a Musei e Fondazioni di tutto il mondo vengono esposte in mostre e rassegne dedicate al linguaggio artistico contemporaneo. Nel 2010, dal 7 maggio al 22 agosto, Il Mart di Rovereto gli dedica la mostra Linguaggi e Sperimentazioni a cura di Giorgio Verzotti con l’intervento straordinario di Hans Ulrich Obrist. Vengono esposte 70 opere di giovani artisti (dai 20 ai 35 anni) realizzate tutte tra il 2000 e il 2010, altre 25 opere di artisti internazionali vengono depositate al Museo Mart in comodato d’uso. Numerose le interviste su riviste di settore e quotidiani nazionali.