Intervento di Paola Cattaneo

In questi drammatici giorni legati all’emergenza pandemica, il mondo intero è accomunato da un drammatico senso di paura come non accadeva dai tempi della seconda guerra mondiale. Anche allora, proprio come noi in questo periodo particolare, le persone coinvolte si ripromettevano di costruire un “mondo nuovo” alla fine dell’emergenza, un mondo migliore fatto di civiltà , di progresso e di fratellanza tra i popoli.Ebbene, nel 1960 questo si tradusse in realtà: il mondo si unì davvero sotto questi auspici, lasciando alla posterità una sorta di fiaba moderna, tutta da raccontare.

Questa vicenda comincia circa alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso ed è ambientata in Egitto, nazione che nell’arco di un centinaio di anni aveva quintuplicato la propria popolazione ma non riusciva a produrre abbastanza risorse per sfamarla.Di fronte a questa emergenza umanitaria la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione, suggerì al governo egiziano di costruire una nuova diga sul Nilo per migliorare le condizioni di vita della popolazione. L’acqua prodotta dalla nuova diga infatti, avrebbe combattuto la siccità, promosso le coltivazioni e prodotto l’energia elettrica necessaria ad avviare l’industrializzazione del paese.

L’allagamento avrebbe creato un vero e proprio bacino, poi chiamato  lago Nasser, a coprire un’area di oltre 5000 chilometri quadrati nella regione della Nubia, innalzando il livello del Nilo di circa 60 metri. La soluzione proposta dalla FAO si rivelò adeguata alle necessità della popolazione egiziana, ma al contempo comportava la drammatica scomparsa di ben 24 monumenti, oltre a tutto quanto sepolto dalla sabbia e non ancora scoperto, che giacevano lungo il Nilo nell’area nubiana oggetto dell’allagamento.Le testimonianze dell’antica civiltà egizia sarebbero state sommerse per sempre, in cambio della salvezza della popolazione.

Una scelta impietosa che sia il governo dell’Egitto che quello del Sudan (i due stati su cui si estende la regione nubiana) non sapevano e non volevano affrontare nella sua drammaticità: fu così che decisero di rivolgersi all’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, alla disperata ricerca di soluzioni tecniche (ed economiche) di salvataggio dei monumenti storici dall’allagamento.

Nel gennaio del 1960 iniziò la costruzione della grande diga di Assuan (chiamata in arabo l’Alta Diga) e l’8 marzo dello stesso anno l’allora Direttore Generale dell’UNESCO, il vicentino Vittorino Veronese, lanciò dalla sede di Parigi un accorato appello, il primo della storia, a TUTTE le nazioni del mondo, invitandole a mettere a disposizione uomini, conoscenze e mezzi per salvare le testimonianze di un’antica civiltà.

Ecco le parole scelte da Veronese in questa storica occasione:

«Meravigliose strutture, considerate tra le più stupefacenti della terra, sono in pericolo di scomparire sotto le acque. La diga porterà fertilità a grandi estensioni di deserto; ma l’apertura di nuovi campi ai trattori, la previsione di nuova energia per future industrie, comporta il pagamento di un altissimo prezzo. (…) Non è facile scegliere tra il patrimonio del passato e il benessere presente di un popolo (…) non è facile scegliere tra templi e raccolto. (…) Questi monumenti, la cui perdita potrebbe essere tragicamente vicina, non appartengono solamente ai paesi che li custodiscono. Il mondo intero ha il diritto di vederli durare nel tempo. Essi sono parte di un comune patrimonio che comprende il pensiero di Socrate e gli affreschi di Ajanta, le mura di Uxmal e le sinfonie di Beethoven. Tesori di valore universale sono chiamati alla protezione universale. Quando una cosa bella, il cui valore aumenta anziché diminuire quando viene condivisa, è perduta, allora tutti noi siamo ugualmente perduti.(…)».

Una causa così nobile non merita niente di meno che una generosa risposta. É quindi con grande fiducia che invito governi, istituzioni, fondazioni pubbliche e private e  uomini di buona volontà, ovunque si trovino, a contribuire al successo di questa impresa senza eguali nella storia. Abbiamo bisogno di competenze, mezzi e denaro. Sono infiniti i modi in cui tutti possiamo aiutare.

La risposta all’appello dell’UNESCO fu una sorta di miracolo: furono 122 le nazioni che aderirono all’impresa, il sostegno giunse da istituzioni pubbliche e private ma anche da semplici cittadini, studenti, insegnanti da ogni parte del mondo; perfino i bambini organizzarono delle collette per aiutare. I mezzi di comunicazione internazionali, radio, televisione e stampa, si unirono spontaneamente per contribuire al successo della campagna.Erano trascorsi appena 15 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, una carneficina che non aveva risparmiato neanche il patrimonio storico artistico delle nazioni, in gran parte colpito dai bombardamenti.

John Fitzgerald Kennedy, all’epoca Presidente degli Stati Uniti, così rispose all’appello:

«Gli Stati Uniti, una delle civiltà più giovani, hanno molto rispetto per lo studio di culture passate e interesse per la conservazione di uno dei più grandi traguardi dell’arte e del pensiero. Raccomando quindi che ora ci uniamo anche noi alle altre nazioni attraverso l’UNESCO nel prevenire quello che altrimenti sarebbe un’ irreparabile perdita per la scienza e la storia culturale dell’umanità tutta».

Da tutto il mondo partirono alla volta della Nubia 30 spedizioni archeologiche (per l’Italia le Università di Torino, Milano e Roma) per compiere nuovi scavi e per documentare i monumenti destinati all’allagamento. L’UNESCO inviò l’architetto italiano Piero Gazzola, già Soprintendente del Veneto Occidentale ed esperto in restauro dei monumenti, a compiere la ricognizione di tutti e 24 i templi lungo il Nilo e di studiarne le possibili tecniche di salvataggio. Tranne tre piccoli templi che andarono perduti, la campagna di Nubia salvò, nell’arco di vent’anni,  le straordinarie testimonianze dell’antica civiltà egizia lungo il Nilo, dai templi di Philae fino allo splendore di Abu Simbel (al cui salvataggio ebbe un ruolo determinante l’impresa di costruzioni italiana IMPREGILO) e i risultati  degli scavi archeologici accrebbero enormemente le nostre conoscenze scientifiche dando un grandissimo impulso all’Egittologia.

Nel 1979 “I monumenti della Nubia da Abu Simbel a Philae” sono stati riconosciuti dall’UNESCO come un “museo a cielo aperto” e dichiarati Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Nelle sue raccomandazioni ICOMOS, il Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti UNESCO, dichiarò:  

«Il successo della campagna che fu lanciata al mondo attraverso l’Unesco, basterebbe da sola a provare (se ce ne fosse bisogno) che questi monumenti sono “di fatto” percepiti come patrimonio dell’umanità intera».

Questa grande impresa ha davvero cambiato il mondo,dimostrando l’importanza della solidarietà tra le Nazioni e il vantaggio di una responsabilità condivisa nella conservazione del patrimonio universale. Oggi, anche noi dovremo essere protagonisti di una “grande impresa” e anche noi potremo farlo attraverso il patrimonio mondiale che comprende, come da Convenzione UNESCO del 1972, anche il patrimonio naturale. Temi quali la solidarietà tra le Nazioni e la responsabilità condivisa ora vanno applicati alla conservazione del nostro pianeta, del nostro meraviglioso patrimonio mondiale naturale, delle sue limitate risorse, del suo fragile equilibrio.

Tocca a noi, questa volta, scrivere una nuova fiaba moderna che le future generazioni potranno, con gratitudine, ancora raccontare.

Biografia

PAOLA CATTANEO | Architetto e Chartered Architect presso il RIBA, The Royal Institute of British Architects dal 2011. Membro dell’ARB, Architects Registration Board di Londra. Realizza progetti di architettura contemporanea e di restauro conservativo. E’ docente a contratto in materia di beni culturali presso l’Istituto Universitario CIELS di Padova.