Per anni è stato un luogo popolato da ombre e fantasmi di un passato che l’ha trasformata da luogo di culto a lanificio, per poi lasciarla all’abbandono più totale. Parliamo della Chiesa Santa Caterina a Formiello a Napoli, sita nel cuore della città, raro esempio di rinascimento napoletano e di archeologia industriale.
Costruita a partire del 1515, nelle prossimità del Formale reale, l’acquedotto della città – da qui “a Formiello”, ossia “presso i canali – la Chiesa fu dimora di diversi ceti religiosi per poi divenire il Lanificio dell’epoca borbonica, in seguito soppressione dell’ordine dei domenicani voluta da Gioacchino Murat.
La trasformazioni in un monumento di archeologia industriale comportarono varie alterazioni della struttura originaria. Tra queste spicca l’imponente capriata lignea centrale, esempio virtuoso del “programma di industrializzazione” dell’epoca. L’intero complesso monumentale fallì dopo l’Unità d’Italia portando lo stabile a un lento e inarrestabile degrado. Gli spazi furono adattati ad ospitare una falegnameria e un saponificio prima, fino a divenire un vero e proprio deposito di rimesse per automobili.
Oggi l’edificio è di proprietà della Fondazione Made in Cloister, che acquisì lo stabile nel 2012, attraverso un’operazione culturale attuata per riqualificare l’area di Porta Capuana.
Quello che un tempo era uno dei luoghi più affascinanti e monumentali della Napoli religiosa si conserva oggi attraverso un attivo programma di eventi culturali di artisti internazionali e maestri artigiani napoletani.
Alla guida di questo coraggioso progetto Davide de Blasio e Rosa Alba Impronta, imprenditori illuminati che hanno saputo salvare dalla rovina un monumento storico, riportarlo agli antichi splendori e restituirlo alla comunità come spazio espositivo per l’arte contemporanea. Il recupero, in primo tempo architettonico, poi creativo e sociale, attuato da Made in Cloister è il tentativo di introdurre nel centro martoriato di Napoli uno spiraglio culturale per rilanciare le tradizioni artigianali, rinnovate in chiave contemporanea.
L’idea del “fare” e di “creare” è sempre stata presente in questo luogo.
E’ qui che nel ‘500 si coltivano le erbe per la farmacia della Chiesa, è negli spazi del chiostro che s’installa la fabbrica di lana e tessuti per l’esercito nell’800, ed è qui che oggi esistono residenze di sperimentazione artistica che spaziano dalla musica alla stampa 3D, dall’architettura all’inclusione sociale e all’arte.
Oltre alla valorizzazione e al recupero del fare artigianale attraverso collaborazioni e nuove committenze, la Fondazione Made in Cloister si pone tra gli obiettivi il recupero del tessuto urbano della zona di Porta Capuana, un’area ricca di storia e tradizioni che ad oggi risulta socialmente complessa. Da questo presupposto sono nate collaborazioni con l’Accademia di Belle Arti di Napoli e artisti internazionali nell’ottica di intercettare un pubblico più vasto e di puntare i riflettori su quest’area dimenticata.
Lo spazio espositivo fu inaugurato ufficialmente nel maggio 2016, con la personale di Laurie Anderson, The Withness of the Body. Da allora il Chiostro ospita progetti site-specific in grado di dialogare antico e contemporaneo, passato e presente, mettendo in mostra materiali e linguaggi espressivi frutto di quella contaminazione stilistica di cui la Fondazione Made in Cloister si fa promotrice.
Fino al 30 aprile, è possibile visitare la personale di Nicola Samorì Black Square, artista italiano noto per i suoi dipinti rinascimentali strappati ed erosi dal passare del tempo.
Per il Chiostro Samorì realizza Drummer, un’imponente scultura di 5 metri ricoperta di lapilli vulcanici appoggiata su una sorta di tappeto lavico composto da 1300 minisculture ispirate alle teste esposte al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il MANN. I riferimenti alla città partenopea sono visibili anche nel basamento della grande scultura che richiama un candelabro barocco di obelischi diffusi sul territorio napoletano.
La ricerca dei materiali utilizzati da Samorì permettono un chiaro dialogo tra antico e contemporaneo, attraverso un’arte che possa risalire alle origini attraverso una veste nuova e rigenerata.
L’arte di Samorì scava nel passato, nell’intimo umano, e lo fa attraverso una serie di dipinti che svelano la più intima e segreta anima di quella ferita lacerata della figura rappresentata.